Isabella lo guardava, il riflesso del marmo del Salone dei Ricevimenti ne proiettava l’ombra sul pavimento lucido. Era alto, come lo aveva immaginato, biondo pur con qualche ciocca già canuta, un naso aquilino che man mano che egli si avvicinava riusciva a distinguere e a mettere a fuoco. Sapeva dai suoi consiglieri che, come lei, aveva trentacinque anni, ma ignorandolo non avrebbe saputo dargli un’età.
Nel mentre che egli procedeva per avvicinarsi ai loro troni, al suo e di suo marito, lei giocava interiormente e si chiedeva quale voce avrebbe avuto quell’uomo, quel Cristoforo Colombo, noto esploratore genovese, di cui aveva letto tutti i carteggi preparati dai suoi ambasciatori… Genova, la grande città marinara, la sua patria: questa la intrigava, le piaceva il mare fin da bambina e si chiedeva se per caso anche la sua persona avesse un sentore di salsedine. Ma anche per questo bisognava aspettare ancora qualche metro di quell’interminabile tappeto rosso da ricevimento, forse il confine più visibile che proteggeva la regalità dai suoi visitatori, ma anche le toglieva ogni possibilità di relazione più intima.
“La distanza, Isabella,la giusta distanza… Ricordati, è questa che deve mantenere una regina: regnare è solo un problema di distanze…” Queste le parole di sua madre, Isabella del Portogallo, che le raccontava prima di dormire come avrebbe dovuto regnare, con quali accorgimenti, con quali sorrisi, con quali mancanze calcolate… Così dentro di lei possedeva un bagaglio ben assortito, che non aveva mai abbandonato, di massime indelebili, consigli regali, e fortunatamente anche di perle di utile saggezza popolare. A fornirle quest’ultima collana era stata proprio la sua nutrice che in parte aveva completato gli insegnamenti di sua madre, insegnandole piccole astuzie di comportamento che, lo riconosceva, le sarebbero state ben più utili delle diplomatiche strutture materne. Ad esempio, Prudencia la nutrice, le aveva insegnato quello che con complicità chiamavano “l’esercizio dell’armadio”… Infatti Prudencia, da quando aveva la capacità di esprimersi con parole comprensibili, la issava su un grande sgabello di fronte all’immenso armadio che era custodito nella sua camera da letto, pieno di abiti, sottogonne, scialli, crinoline, gorgiere, calze e calzature di ogni sorta e di ogni colore in taglie progressivamente successive per l’accrescersi delle forme man mano che il suo corpo di bambina cambiava e si riempiva in punti imprevedibili. In ogni occasione la nutrice non la precedeva mai nella scelta dell’abito da indossare in quella giornata, solo piano piano, in un momento in cui chiudeva fuori ogni altra serva dalla camera, le diceva nell’orecchio che cosa avrebbe fatto quel giorno, quale evento avrebbe dovuto affrontare: parate militari, cerimonie di insediamento, spettacoli di cavalieri, roghi sinistri di streghe sulla pubblica piazza, lunghe messe in cattedrale, ricevimenti degli ambasciatori lontani… Perchè, anche se bambina, e dopo ragazzina, lei doveva sempre essere presente tra la corte, vicina al re o alla regina… E ogni occasione aveva il suo vestito…
Ricordava il primo momento di terribile confusione quando l’armadio si apriva e lei in mano come chiave aveva solo un “andremo all’autodafè”… L’autodafè era la pubblica esecuzione capitale di un qualche rinnegato di turno che spesso aveva mancato di rispetto alla corona o alla vera fede, ma lei ancora non sapeva che cosa significasse “rispettare la corona” per chi non la portava… Sapeva solo, grazie all’esercizio, che in quel caso il colore più indicato era l’amaranto, con crinoline ecrou per ravvivare il velluto, forse anche un abito in damasco blu ma senza fiori vistosi nel ricamo operato… E così di giorno in giorno Isabella aveva imparato a gestire non solo la confusione possibile degli abiti, ma soprattutto la sovrapposizione dei suoi sentimenti… Adorava sua madre, soprattutto dopo che suo padre era morto, e starle accanto bramosamente era diventata una fissazione per lei… Eppure non le era possibile molto spesso, così sentiva di frequente nel cuore una nostalgia lontana a cui non sapeva dare un nome, ma che la confondeva e le faceva dare appellativi diversi a cose che poi avrebbe scoperto che non si chiamavano così. Prudencia, la saggia nutrice, col suo semplice esercizio, aveva reso inconsapevolmente al futuro regno di Castiglia e di Aragona, alla grande corona di Spagna finalmente riunita dopo l’utile matrimonio con Ferdinando, il più grande servizio che si potesse offrire: insegnare alla Regina di Spagna il dono di discernere, di saper distinguere sempre meglio i suoi sentimenti, di nominarli a modo… e infine di gestirli, infilandoseli piano come faceva col vestito prescelto.
Tutto questo pensava Isabella quando finalmente si trovò di fronte il volto di Cristoforo Colombo, sempre “alla giusta distanza”: sussultò impercettibilmente come se lui avesse potuto leggerle i pensieri in fronte, la sua piccola fronte da cui si staccava una ricca capigliatura biondastra che proteggeva graziosamete un piglio il quale, in una donna, seppure regale, di primo acchito avrebbe potuto irritare… Comprese subito che era lo sguardo che non aveva calcolato bene in quell’uomo, uno sguardo vigile, intelligente ma terribilmente inquieto. Era uno sguardo che diceva ambizione, voglia di oro e di potere, ma soprattutto sete di conoscenza, desiderio di mare e di scoperta oltre ogni limite umano.
Purtroppo, con una dolorosa fitta al cuore, si rese conto che quell’uomo conosceva davvero bene quel “di più” che anche lei provava, ed era forse l’oggetto della sua infantile nostalgia. Nelle tante favole che le raccontavano da bambina la colpiva sempre quell’oggetto misterioso e risolutore che scioglieva l’enigma e faceva ritrovare il senno o la via di casa: quell’uomo quale oggetto misterioso o magico cercava? Che nome aveva il suo Graal? Che tipo di cavaliere era, in preda ai tanti portolani e carte geografiche che, dopo aver omaggiato la corte secondo il cerimoniale, già cominciava a stendere aiutato dal suo seguito, per mostrarli a lei e a Ferdinando e convincerli dell’opportunità di fornirgli la flotta per raggiungere le Indie… “Le Indie, Colombo,” gli rispondeva in cuor suo con parole vere, ben diverse da quelle di rifiuto opportuno e politico che avrebbe invece dovuto dirgli di lì a poco, “le Indie cercale Colombo, poi portami il profumo delle spezie, quei colori, la malia dello sguardo delle loro donne e le piume di strani uccelli con potere di guarigione, dammi la possibilità di non essere solo la grandissima Isabella la Cattolica, quella che deve sconfiggere i Mori riconquistando tutta la Spagna ed entrando in Granada col crocefisso in mano… Il mare, Colombo, perché il mare è diventato nostro in questo momento, riportami quel mare, arrivaci, solcandolo tra stanchezza e scoraggiamento, alle Indie… E poi torna per spartire a metà il bottino, non solo di ricchezza, ma prima di conoscenza!”
Lo guardava, mentre nel suo cuore gli diceva queste cose, ed esternamente concorde col consorte Ferdinando lo congedava, pur mostrandogli cortesemente un rammarico, dicendo che la Corona di Spagna, appena riunita, non poteva per ora affrontare quella dispendiosa impresa di conquista, perché era in casa che urgeva la Reconquista: i Moriscos a Granada. Rivedeva quella tremenda delusione plasmargli le rughe e il suo disilluso saluto, unito alla prospettiva serpeggiante di proporsi ora al re del Portogallo, lei la intuiva già.
Sentì di amarlo per un attimo, con una stretta al cuore, ma forse non di amare lui ma quella sua smania strana di andare oltre il possibile.
“Che abito vuoi scegliere oggi Isabella? Che cosa provi davvero per quest’uomo?” Non era amore, né attrazione erotica: era voglia di seguirlo nel suo sogno di ricerca, che la ragion di stato le impediva assediandole i fianchi e le parole da ogni parte.
Era l’anno del Signore 1486, il giorno del loro primo incontro: servirono sei anni per compiere il dovere di una politica esosa e di una fede tenace che li consacrava inesorabilmente “cattolici reali” con un tribunale d’Inquisizione da lei stessa voluto contro ogni titubanza di fuga dalla Verità. Caduta nelle loro mani nel mese di gennaio del 1492 la splendida città moresca di Granada, oltrepassato il grande fiume del Sud, il meraviglioso Guadalquivir dall’onda blu ritratto in tanti arazzi dei saloni reali, tutti i Moriscos cacciati o convertiti, oltre 100.000 ebrei espulsi perché non convertiti… Potere, politica, custodia della vera Fede…
Ora Isabella era pronta: nel mese di Agosto di quello stesso anno il Capitano Cristoforo Colombo con le sue tre caravalle ben armate, e tanto costose, salpò da Palos spesato dalla cattolicissima corte di Spagna. Isabella quel giorno indossava un adattissimo abito di broccato azzurro cobalto, come il colore dell’onda quando si increspa in alto mare e i venti cominciano a gonfiare senza far presagire nulla di buono. Aveva scelto bene dal suo armadio quella mattina, sapeva perfettamente cosa provava il suo cuore sul molo di Palos, sostenendo lo sguardo di saluto di Colombo con un potere che lei sola sapeva di avere: quello su se stessa.
Solo la sera, guardando per un attimo dalla finestra, le sembrò che il colore del mare non fosse esattamente lo stesso del suo vestito: fu lì che il suo cuore, per un attimo, cominciò a vacillare.
Si riprese, il giorno seguente a Madrid l’aspettava una grande parata, aveva già dato ordine che le fosse preparato un lungo mantello color senape, dalle frange biondo rame: era lei la Regina!