Canto delle donne al poeta

Siamo come ogni cosa che si schiude,
e nient’altro che questa beatitudine.
Ciò ch’era sangue e buio in una belva
crebbe in noi per farsi anima
e si tende
ancora a te, fatta anima, e ti chiama.
Tu, certo, la ricevi nel tuo viso
come un paesaggio, mite e senza brama.
Perciò crediamo non sia tu cui mira
il nostro grido.
Eppure, in chi vorremmo
se non in te, perderci senza fine?
In chi, più che in te, cresce il nostro essere?
L’infinito con noi passa e si perde.
Sii tu la bocca che ce lo fa udire,
tu sii: tu che di noi dici l’essenza.

(Rainer Maria Rilke)


Siamo come ogni cosa che si schiude,
e nient’altro che questa beatitudine.
“Siamo”: è un femminino che parla e si rivolge al Poeta, tante donne insieme oppure tanti aspetti del femminile in un’unica donna… per me è così: le tante donne che sento in me, che spingono, litigano, prendono il tè chiaccherando pacificate, si consolano a vicenda, si amano in maniera sbagliata, si difendono dal maschile, lo comprendono insieme, ognuna per il suo pezzo di esperienza, si aiutano… tutto porta a “schiudersi”, ad aprirsi meravigliosamente e in questo si sperimenta l’unica “beatitudine” possibile: trovare un modo di uscire e il balsamo di sentirsi in grado di schiudersi…

Ciò ch’era sangue e buio in una belva
crebbe in noi per farsi anima
E’ difficile rimanere uomini, qui donne… partire da quell’istinto di “sangue e buio” che spesso si trasforma in “belva” di bisogno dentro di noi, urgenza di bisogno che, se non viene soddisfatto, vuole uccidere, per l’esattezza “uccidersi”, cioè distruggere una parte di sé… come tante tentazioni interiori di autodistruzione… E’ la belva che cerca sangue, e che vive al buio, per citarla nuovamente…Quanta pazienza per avvicinarla, addomesticarla ogni volta, parlarle piano e indurla a non chiedere tributi cruenti… così nasce “l’anima” in noi, nasce l’anima della maturità che considera l’autodistruzione infantile, prima ancora che inutile… perché l’anima nasce per “tendersi” verso la Vita, l’Altro…diversamente il Sangue e il Buio che esistono per ripiegarsi soli, se assecondati in modo improprio.

e si tende
ancora a te, fatta anima, e ti chiama.
L’anima si tende al Poeta, meraviglioso quell’ “ancora”… Non se ne era affatto parlato prima dell’eventualità che l’anima si offrisse al poeta… Invece sì, questo è un gesto interno, profondamente reiterato perché connaturato alla nascita stessa dell’anima, la quale sembra nasca per consegnarsi… quindi serve un “ancora a te”, ovvio complemento di luogo o forse “di termine interno”, nuova forma sintattica di un “darsi a” sottinteso… Rilke sembra inventarlo un complemento di termine “interno”… grammaticalmente geniale… E così la nostra anima si tende, “chiamando”, e lo sforzo muscolare si confonde con quello sonoro… una figura retorica, una contaminazione tra piani diversi: sforzo e voce!

Tu, certo, la ricevi nel tuo viso
come un paesaggio, mite e senza brama.
Difficile, a volte, da sostenere per l’anima il “non paritario” del Poeta, presentissimo a questo dialogo e contatto. C’è qui la certezza che il poeta la accolga e riceva… ma l’accoglie dapprima nel viso, colpo di scena degno di un genio a mio avviso, non nel cuore o nella mente.
Così la trasforma in “paesaggio”, colline, fiumi, valli, nuvolette e tempo atmosferico sereno, un paesaggio ameno… perché è “mite e senza brama”. Il poeta non vuole impossessarsi di quell’anima, paradossalmente non ne ha bisogno, rimarrebbe poeta anche se quell’anima non si consegnasse a lui, che comunque ne gode divenendo natura pacificata…
Questa è la terapia, per me, questo è il non paritario dell’accompagnamento spirituale, a volte doloroso e bellissimo per l’anima del paziente o del “figlio spirituale”, una parola antica e forse fuori tempo… Guai a quel paesaggio che si turba con nuvole, temporali, o soli eccessivi, burroni, deserti o orridi… sarebbe sforamento, confusione fatale e compromissione per entrambi…

Perciò crediamo non sia tu cui mira
il nostro grido.
Questo permette all’anima di capirsi fino in fondo: un accompagnamento spirituale o una terapia “apprendono” da quel paesaggio così chiaro il fatto di doverlo percorrere come landa di transizione verso un altro lido definitivo… E’ un po’ la Terra di Mezzo di Tolkien dove l’uomo si perde e si ritrova, ed è abitata dai “mezzi uomini”… Tolkien è un grande… L’anima vuole tanto bene al suo Poeta da crederlo definitivo a tratti, è un bisogno crederlo… ma il grido ha “mire” di infinito… il Grido è il Ritorno al Padre.

Eppure, in chi vorremmo
se non in te, perderci senza fine?
In chi, più che in te, cresce il nostro essere?
C’è un luogo, quel paesaggio, dove la Provvidenza , spesso la Provvida Sventura per dirla col Manzoni, ci permette di esercitarci con l’Infinito, ed è la terra garante del poeta dove è lecito stare, perdersi, “senza fine”… il “senza fine” concesso quaggiù, che verrà nobilitato anche lassù, ne sono certa… E’ la domanda costante che l’anima rivolge ansiosa come una bambina: “è per sempre tra noi vero?” Fino allo sgorgare di una generosa risposta: “La terapia e l’accompagnamento… un amore per sempre!.. Non so dove io l’abbia letto stamattina…” sussurra il Poeta che rimane, giustamente, paesaggio “senza brama”… deve trovare sempre la citazione giusta solo chi ha costante l’ansia di non perdersi, e di non staccarsi, come la nostra anima in questione.

L’infinito con noi passa e si perde.
E’ proprio vero, Rilke lo sa, lo ribadisce ancora… L’anima ha di nuovo perso il suo aggancio verso “l’Infinito”, e a volte, spesso, dimentica che il Suo cuore è inquieto finchè non riposa in Lui, come direbbe Agostino. Ma possiamo stare tranquilli, c’è il poeta a ricordarlo e l’anima glielo chiede in un suo sprazzo di lucidità, quando si placa quel bisogno affettivo con le sue impellenze tedianti e ripetitive, e si apre il desiderio maestro di libertà! Non ce la fa sempre, la nostra anima, a trattare direttamente con l’Infinito, lo perde a tratti… ma il poeta lo sa!

Sii tu la bocca che ce lo fa udire,
tu sii: tu che di noi dici l’essenza.
Il poeta sarà “bocca”, profeta di infinito, in quel chiasmo di esortativi e imperativi che giocano intensi sul rispecchiamento, questa volta concesso anche nella non paritarietà (sii tu… Tu sii…): l’anima deve capire se esortare, supplicare o comandare al suo Poeta caro… E da quando lo decide, tutto le è concesso… in quell’intimità tra loro in cui gli svela piano, e nuovamente, che solo lui, il poeta, dice la sua essenza. E il cerchio qui si chiude: di nuovo la Piccola Anima, insegna di germe divino, nasce e si consegna “fatta anima”, come ai versi, primi, del sonetto